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5 GIULIO PEZZOLA
Brigante, capo di briganti, cacciatore di briganti, incaricato di vigilare i confini tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio per preservarli dalle azioni brigantesche, avventuriero, pirata, Giulio Pezzola (1598-1673), che si faceva chiamare Principe del Borghetto, rimase per quaranta anni a capo di una banda che si aggirava tra gli 80 e i 300 uomini, al servizio di potenti, ma soprattutto di se stesso. Capitano di confine per il Viceré di Napoli, odiato dal Papa e dai Barberini, venne accolto nel 1652 con tutti gli onori a Madrid dal Re di Spagna.
Nel 1659 cade in disgrazia e gli vennero confiscati tutti i beni. Nel 1660 con il figlio Giacomo venne carcerato a Castel dell'Ovo a Napoli. Da qui nel 1666 riuscì a far pubblicare un suo memoriale, per farlo aver al Re di Napoli come prosecuzione di quello che aveva consegnato personalmente a Madrid quattordici anni prima. Sperò invano nella grazia sovrana e lunedì 17 giugno 1673, nel tentativo di calarsi con una corda troppo corta da una finestra, cadde e morì sfracellandosi sulle rocce affioranti tra le onde del mare. |
Video della presentazione del libro a Teramo, 10 aprile 2014 |
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6 SANTUCCIO DI FROSCIA
Sante Lucidi, detto Santuccio di Froscia, o anche Sciarretta, per essere pronipote del più celebre brigante del Cinquecento, Marco Sciarra, nacque a Cesa, un casale di Rocca Santa Maria. Fu a sua volta uno dei più celebri briganti del Seicento, capo di una banda assai numerosa, che raggiunse al suo culmine l’incredibile cifra di un migliaio di uomini. Alla pari di altri capi briganti del suo tempo, i Colranieri, Antonio delle Piagge detto Barbarossa, Savino Savini, Tommaso Vitelli detto Tommasuolo, Medoro Narducci, Salvatore Bianchini, Spagnoletto, Carlo Pompetti, Sfamurro, i Mancecchi, egli scorrazzò alla guida dei suoi uomini in tutti e tre gli Abruzzi, commettendo ogni genere di imprese criminose: razzie, estorsioni, omicidi, rapine.
Raggiunto l’apice del successo, invano cercato, inseguito e perseguitato da bandi e prammatiche “contro i delinquenti,” fece del suo castello di Boceto di Campli il suo centro operativo. Nel 1684, rimasto solo con Titta Colranieri a fronteggiare una lotta senza quartiere condotta contro i briganti dal Marchese del Carpio, partì per Venezia e sotto le insegne della Serenissima prese parte alla guerra contro i Turchi, senza mai tornare nel teramano. Sua moglie, Marianna Rozzi, rimasta sola a Campli, aveva sempre il suo nome in bocca, ripetendo “Santucce mì”. |
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7 VIVA FRANCESCO II
Il 9 settembre 1860 il movimento unitario si propagò anche nella provincia di Teramo, venne dichiarato decaduto il Governo Borbonico, ma la Fortezza di Civitella del Tronto non si uniformò al Governo provvisorio che era stato costituito. Posta sotto assedio, diventò, specie dopo il plebiscito del 21 ottobre, con il quale le province napoletane, vennero annesse al nuovo stato unitario, il centro ideale e materiale dell’insorgenza reazionaria filo borbonica e delle azioni di guerriglia che vennero chiamate “brigantaggio post unitario”. In coordinamento con i comitati filo borbonici, operarono gruppi armati i cui più noti capi erano Bernardo Stramenga di Villa Passo, Gaetano Troiani, detto “Caddà” di Valle Castellana, Angelo Florio di Isola, e che agivano al grido: “Viva Francesco Secondo”.
Altri capi briganti divennero celebri e temuti: Felice Andrea Angelini, di Prevenisco, “Lo Svizzero”, Marcello Scalone, detto “Pilone”, di Sant’Atto, Marcello Focosi, Nicola Di Giorgio detto “Caldarale”. A partire dal saccheggio di Campli del 24 ottobre 1860, non ci fu giorno in cui scemò la paura dei briganti.
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