LA CITTA' DEI RICORDI
di Elso Simone Serpentini
Aspettando l'impresario
L'incontro non avvenne. Il Pozzi non potè lasciare L'Aquila e si limitò ad insistere con altre lettere nella sua richiesta di avere Dorotea nella sua compagnia, a proposito della quale egli si lamentava a fosche tinte, chiamando la sua prima donna una "canaglia". Dorotea Monti, pur senza dare un sì definitivo, incoraggiò il Pozzi e questi pensò addirittura di sciogliere tutta la compagnia, con la quale si esibiva a L'Aquila e che lo costringeva a "mangiarsi il cuore", e di farne un'altra, proprio con la Monti, a Teramo. In vista di questa soluzione, l'impresario annunciò come finalmente imminente un suo arrivo a Teramo per incontrarla e, quando seppe che lei stava per partire, la implorò di non lasciare la città, altrimenti, le scrisse: "andrà svanito tutto quello che ora penso ed ho pensato". Le ribadì anche la sua intenzione di fare compagnia con lei, una compagnia degna del suo prestigio e del suo decoro, nella quale, della sua attuale compagnia aquilana, avrebbe chiamato solo quel suo vecchio amico, il Sarchini. Dorotea attese, rimandando la partenza, ma l'impresario Pozzi tardava a venire a Teramo e lei cominciò a seccarsi per la sua inutile attesa. Teramo, che pure l'acclamava e l'idolatrava, cominciava ad andarle stretta. Altri teatri e altri palcoscenici, ben più famosi e prestigiosi del Teatro Corradi, la chiamavano e le offrivano ponti d'oro. Il Pozzi, intanto, era tutto indaffarato. A L'Aquila egli stava allestendo una nuova opera, il "Don Giovanni". Ma l'allestimento era faticoso e la sua compagnia era un peso pressoché insopportabile. Se ne lamentò ancora con Dorotea Monti, in alcune lettere nelle quali dicva peste e corna della sua prima donna, del pimo buffo e degli altri attori. "Ma perché - cominciò a pensare Dorotea Monti - se non è soddisfatto della sua compagnia, allestisce una nuova opera? E perché vuola fare una nuova compagnia con me, continua ad annunciarmi il suo arrivo a Teramo e poi lo rimanda sempre?" L'iniziale simpatia di Dorotea per il Pozzi, forse favorita da quello che le aveva detto di lui qualche amico comune, si andava intiepidendo. Quando ricevette un'altra lettera del Pozzi, che le riferiva del "bello spettacolo" che s'era dato, delle decorazioni dispendiose che si erano realizzate, della musica bella che si era suonata e di quant'altro di bello s'era visto, Dorotea cominciò a sentirsi montare in collera. Anche perché, nella stessa lettera, il Pozzi continuava a parlare male della sua compagnia: erano tutti birbanti, sempre in continua lite tra di loro, tutti gelosi gli uni con gli altri. Quanto alla prima donna, perfino i cittadini aquilani erano angustiati per la sua "malacondotta". Dorotea Monti lesse e rilesse quest'ultima lettera. Che razza d'uomo e di impresario era il Pozzi? Elogiava il suo lavoro, parlava della sua compagnia; diceva di volerla sciogliere e allestiva con essa una nuova opera; le proponeva di fare con lei una nuova compagnia, la pregava di restare a Teramo per attendere il suo arrivo e poi rimandava sempre la sua partenza. E, con tutto questo, non aveva pudore nel fare nella stessa lettera un'altra promessa: "Ora basta! Per adempire al mio dovere mi restano solo sette recite e poi mi dilibero di molti o con le bone o con le cattive". Era il 15 giugno del 1792. La lettera si concludeva con un ulteriore, ennesimo, annuncio del suo arrivo a Teramo per incontrarla. Ma fino al 24, giorno della fiera, non avrebbe potuto. Poi senz'altro sarebbe arrivato e, finalmente, la cosa si sarebbe combinata. "Credetemi che non vedo l'ora!" egli concludeva. Era troppo! Questa volta il Pozzi aveva colmato il segno. Nella lettera che Dorotea Monti gli inviò in risposta mise tutto il suo spirito bolognese e usò le espressioni più inviperite. Gli disse che non poteva non diffidare di lui e di essersi ormai convinta che egli volesse burlarsi di lei. Pertanto, pensasse a qualche altra attrice per la sua nuova compagnia o si tenesse la "birbante" che aveva, la cui "malacondotta" tanto dispiaceva agli aquilani. Quanto a lei, i teramani già erano in pianto nel sapere che ella stava ormai per lasciare la città. Fu di parola. Quando, finalmente, Giuseppe Pozzi arrivò a Teramo (era ormai agosto), lei aveva già lasciato la città. Un'ultima lettera del Pozzi, nella quale l'impresario respingeva le accuse e i rimproveri, si giustificava per il suo mancato arrivo e annunciava che sarebbe stato a Teramo "quanto prima", non era riuscita a trattenerla. Così come non l'avevano trattenuta le insistenze dei suoi ammiratori teramani, i quali l'avevano implorata di non lasciare la città. Alcuni dei più entusiasti la seguirono nella sua nuova piazza, sostenendo di non poter vivere lontano dalla sua grazia e dalla sua bellezza. Dorotea Monti e l'impresario Pozzi non si incontrarono mai, né a Teramo né altrove, e fu un bene per la Monti. A Teramo, infatti, l'impresario si cacciò nei guai con un suo collega. Ma questa è un'altra storia. |