LA CITTA' DEI RICORDI
di Elso Simone Serpentini
D'Annunzio a duello
I padrini di Magnico respinsero anche quest’ultima proposta, dichiarando che non potevano accettare un duello alla sciabola che non prevedesse colpi di testa, così dopo ancora lunghe trattative si addivenne ad un accordo. Il duello sarebbe stato alla sciabola, senza guanto di sala d’armi, con colpi di punta e di testa. I quattro padrini sottoscrissero il verbale di scontro, fissandone il luogo, un campo vicino alla Stazione ferroviaria di Chieti, e l’ora, le due del pomeriggio di quello stesso giorno. All’ora convenuta, i due sfidanti si trovarono l’uno di fronte all’altro. Prima di procedere alla formalità d’uso, i padrini rammentarono le condizioni convenute, dopo di che lo scontro ebbe inizio. Al secondo assalto D’Annunzio rimase colpito alla testa e subito il duello cessò. Immediatamente i padrini di D’Annunzio, Scarfoglio e Michetti, si rivolsero a quelli del Magnico, Nodari e Oliva, e domandarono se il loro assistito chiedesse solennemente scusa a D’Annunzio per aver mancato alle condizioni del duello e cioè di aver inferto un colpo alla testa, anziché alla figura. Magnico, si disse dolente dell’accaduto e dichiarò che il colpo inferto si doveva attribuire al caso e alla propria imperizia nel maneggio delle armi, circostanza ammessa dai padrini di ambedue le parti. Tutti convennero, e la cosa fu riportata sul verbale di scontro, che D’Annunzio era venuto a trovarsi in terreno più basso, toccatogli in sorte, e che, essendo di statura più bassa di Magnico, si trovava in condizione più sfavorevole. Questo aveva certamente influito sul disgraziato accidente, imputabile al mero caso. I padrini di Magnico si dissero assai dolenti dell’accaduto e si sentirono obbligati a manifestare la loro ammirazione per il nobile contegno di D’Annunzio. Fu dato atto sempre nel verbale che la ferita riportata da D’Annunzio era lunga cinque centimetri e si trovava nella regione fronto-parietale destra, recidente i “comuni integumenti” fino all’osso, giudicata guaribile in cinque giorni. Sul verbale venne riportato che la vertenza si intendeva esaurita con piena soddisfazione del sig. D’Annunzio. Entrambi i verbali di scontro furono successivamente pubblicati su “Gli Abruzzi”, nel numero del 4 ottobre 1885, con la precisazione che al termine Gabriele D’Annunzio e Carlo Magnico si erano lealmente strette le destre e che lo stesso avevano fatto i rispettivi padrini. All’epoca Scarfoglio, uno dei due padrini di D’Annunzio, aveva 25 anni e aveva sposato da qualche mese (a marzo) Matilde Serao. e forse non immaginava che, in seguito, del “vate” sarebbe stato non padrino, ma sfidante. A Natale del 1885 uscì il primo numero del giornale fondato da Scarfoglio e da sua moglie, “Il Corriere di Roma”, ma l’anno successivo il giornale concorrente, “La Tribuna”, annunciò che avrebbe offerto ai propri abbonati per l'anno successivo una raccolta di poesie di D’Annunzio intitolata “Isotta Guttadauro". In risposta, Scarfoglio, che non poteva permettersi, a causa delle scarse condizioni finanziarie, una identica offerta, annunciò sul suo giornale, sarcasticamente, l’uscita di un poema "eroi-comico" intitolato "Risaotta al pomidauro", una parodia dell'opera dannunziana, firmata “Raphaele Panunzio”, che effettivamente fu pubblicato in cinque puntate a partire dal 16 ottobre 1886. Successivamente anche sulla rubrica mondana che la Serao aveva sul giornale del marito comparve un secondo poemetto parodistico ("Risaottina allo zafferano"). D'Annunzio, al quale la moglie Maria aveva dato un secondo figlio, Gabriele Maria, il 10 aprile 1886, rispose con una lettera pubblicata il 27 ottobre su "La Tribuna". Sentendosi offeso, Scarfoglio lo sfidò a duello. Anche questa volta D’Annunzio ebbe la peggio, rimanendo ferito al terzo assalto di sciabola. Più tardi Edoardo Scarfoglio si riappacificò con Gabriele D'Annunzio e tornò ad essere suo amico. Dopo la separazione da Matilde Serao, partì insieme con lui per una crociera nel Pireo e a Costantinopoli. Di quel duello con l’amico avrebbe scritto, con accenti commossi, quaranta anni dopo, nel “Libro segreto”. Ma non furono solo questi i duelli di D’Annunzio. Dopo il matrimonio riparatore con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, abbandonata al terzo figlio, e dopo l’appassionata relazione con Barbara Leoni, “il vate” si legò ad una principessa siciliana, già separata e madre di quattro figli. Il marito tradito sfidò D’annunzio a duello e lo trascinò in tribunale, facendolo condannare a cinque mesi di reclusione, pena mai scontata per amnistia. Si calcola che complessivamente Gabriele D’Annunzio abbia collezionato dieci duelli e cinquanta sfide.
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