LA CITTA' DEI RICORDI
di Elso Simone Serpentini
L'eredità contesa dei Rozzi
Chi aveva ragione? Filomena o suo fratello Norberto ? E qual era l’atteggiamento degli altri parenti e dei componenti della famiglia Rozzi ? La situazione era assai complessa e il Tribunale dovette tenerne conto al momento di disporre le citazioni, dopo aver ammesso, il 13 febbraio 1901, Filomena Rozzi a provare con testimoni quanto da lei asserito e dopo aver disposto una perizia psichiatrica per determinare le condizioni mentali di Nicola Rozzi all’atto di fare testamento. I periti incaricati, tre, erano tutti di chiarissima fama, anzi il primo di essi era addirittura celebre, trattandosi del Prof. Cesare Lombroso, allora Direttore del Manicomio di Torino. Gli altri due periti non erano meno famosi: il Prof. Francesco Roncati, dell’Università di Bologna, e il prof. Gaspare Virgilio, Direttore del Manicomio di Aversa. Poiché il Prof. Roncati rinunciò all’incarico, il Tribunale nell’aprile del 1902 nominò al suo posto uno psichiatra non meno conosciuto e celebre, il Prof. Augusto Tamburrini, Direttore del Manicomio di Reggio Emilia. Ai periti venne posto questo quesito: Nicola Rozzi, al momento in cui aveva vergato il suo testamento, nel giugno del 1885, aveva la piena coscienza e libertà dei propri atti ? Poteva essere in tale condizione nel mese di giugno un individuo ricoverato in manicomio nel mese di ottobre e morto per frenosi paralitica in seguito a paralisi progressiva nel successivo mese di dicembre ? Nel frattempo vennero anche raccolte le deposizioni dei testimoni, di prova e di riprova, cioè, rispettivamente, quelli indicati da Filomena Rozzi e quelli indicati da suo fratello Norberto. Al termine delle deposizioni il Tribunale si trovò a dover dare alcune risposte. I testimoni indicati da Filomena, erano riusciti a provare con le loro dichiarazioni che Nicola Rozzi aveva iniziato tre anni prima della sua morte a dare segni di alienazione mentale, tanto che nei primi mesi del 1885 era unanime la voce a Campli che egli fosse diventato pazzo e che la famiglia, benché assai ricca, non aveva più potuto tenerlo in casa e lo aveva rinchiuso in manicomio ? O, piuttosto, i testimoni indicati da Norberto Rozzi erano riusciti, con le loro deposizioni, a provare che Nicola fino al momento in cui aveva fatto testamento aveva avuto un comportamento normale, tanto da esercitare normalmente le funzioni di consigliere comunale di Campli e, fino al mese successivo, quelle di Presidente della Commissione per le imposte dirette del mandamento di Campli-Bellante e ancora fino all’agosto del 1885 continuando ad occuparsi dell’amministrazione della famiglia Rozzi ? Se fosse stata dichiarata vera quest’ultima circostanza, come spiegare che la pazzia di Nicola Rozzi fosse iniziata solo nel mese di settembre, che solo dopo un mese essa fosse tanto progredita da indurre i suoi famigliari a rinchiuderlo in manicomio e da condurlo a morte dopo appena altri tre mesi ? Ai periti, prima di depositare la loro perizia, venne dato l’incarico di tener conto anche della deposizione dei testimoni, perché era sulle loro dichiarazioni soprattutto che essi dovevano basare i propri giudizi, trovandosi nella circostanza di dover valutare nel 1902 le condizioni mentali di un individuo ricoverato in manicomio nell’ottobre del 1885 (morto nel dicembre dello stesso anno) al momento in cui aveva redatto testamento olografo nel mese di giugno. Quando i giudici del Tribunale esaminarono il fascicolo delle deposizioni dei testimoni e la perizia psichiatrica dei Proff. Lombroso, Virgilio e Tamburini, si trovarono in grande imbarazzo. Le deposizioni dei testi di prova e di riprova si controbilanciavano e la perizia psichiatrica concludeva con una valutazione clamorosa: Nicola Rozzi al momento in cui aveva fatto testamento non era pienamente capace di intendere e volere e, conseguentemente, il testamento doveva essere considerato nullo. I giudici erano ben consapevoli che, se avessero fatto proprio il giudizio di periti pur così celebrati, avrebbero non soltanto portato lo scompiglio nella famiglia Rozzi e nell’amministrazione del suo patrimonio, trovandosi questa da più di quindici anni affidata interamente a Norberto Rozzi, erede universale del fratello Nicola così come dell’altro fratello Carmine, ma avrebbero implicitamente dovuto riconoscere che molti testi autorevoli avevano deposto il falso. Così i giudici nel dicembre del 1903 presero una decisione che ritennero salomonica, quella di rivolgere un quesito specifico ai tre periti. Questi erano chiamati a spiegare una circostanza: nel formarsi la convinzione che Nicola Rozzi al momento in cui aveva fatto testamento non era pienamente capace di intendere e di testare, avevano tenuto conto delle deposizioni di testi quali Ferdinando Rozzi, il notaio Francesco Legnani, Filippo Misticoni ed altri, fra i quali stimati medici di Campli, i quali avevano testimoniato che Nicola Rozzi si trovava in pienezza di senno ? E se no, sulla base di quelle deposizioni, potevano continuare a dirsi dello stesso parere? Cesare Lombroso, Gaspare Virgilio e Augusto Tamburini si trovarono a dover fornire i chiarimenti richiesti davanti al Tribunale di Teramo. Tutti e tre si meravigliarono che tanti testi avessero deposto che Nicola Rozzi nel mese di giugno, quando aveva fatto testamento, apparisse del tutto sano, cosciente, capace, identico al Nicola Rozzi dei tempi non sospetti. Lombroso parve irritato davanti alle domande dei giudici e del Presidente in particolare, Cav. Nicola Spinelli. Chiese un termine temporale per dare le sue risposte. - La data del 6 luglio 1885 - disse - accennata dai testi, è di poco successiva alla data del testamento, 9 giugno 1885, e perciò è molto importante. E’ necessario quindi tornare sugli atti e sulle circostanze della causa, tanto più che mi sembra che non ho tenuto conto delle dichiarazioni dei tre testi che mi sono stati indicati, perché erano scritti con caratteri indecifrabili. Il collegio giudicante si ritirò in camera di consiglio per deliberare sulla richiesta del termine temporale del Prof. Lombroso, il quale, però, quando i giudici furono tornati in aula, chiese la parola e precisò che non aveva voluto intendere, con la sua precedente dichiarazione, di non aver letto le dichiarazioni dei tre testi indicati, ma di non aver potuto leggere, a causa dei caratteri indecifrabili, i tre quesiti del dispositivo della sentenza del dicembre 1903, che gli era stato notificato a Torino, e che chiedeva se si fosse tenuto conto di quelle tre testimonianze. Questa volta fu il Presidente Spinelli a mostrarsi irritato. Fu evidente che egli si era convinto che i tre periti non avessero letto tutte le testimonianze o che, quanto meno, non ne avessero tenuto conto. Fece notare al Prof. Lombroso che la sua ultima dichiarazione era in contrasto con la prima, nella quale non aveva parlato della sentenza del dicembre 1903, ma della data 6 luglio 1885. Dopo di che borbottò alcune parole e chiuse la seduta. Quel che si capì fu che il termine temporale ai periti era stato concesso, ma con un accenno alla "inosservanza" dell’incarico peritale. La causa tra Filomena Rozzi e suo fratello Norberto subì così un ulteriore rinvio. Essa sarebbe giunta a conclusione il 14 marzo 1905, ma, nel frattempo, la situazione parentale della famiglia Rozzi si sarebbe complicata ulteriormente e determinato una modifica degli atti di citazione. Questi, fin dall’inizio, avevano coinvolto un gran numero di persone, le quali rientravano tutte nell’ambito della eredità dell’immenso patrimonio dei Rozzi. Intanto, dei tre figli di Filomena Rozzi e di suo marito Gianfrancesco Nardi, tutti e tre coinvolti, due erano maggiorenni, Jacopo e Nardo, uno minorenne, Antonio. Quanto ai figli delle defunta Rosa Rozzi, vedova Savini, restarono in vita solo Francesco e Giuditta, in quanto Giuseppe morì. Di quest’ultimo restavano implicati nella vicenda dell’eredità Rozzi sua moglie Lucrezia Coppa-Zuccari e, soprattutto, i suoi figli, tutti minori di età, Sigismondo, Giannina, Grazietta, Pierina e Vincenzo.
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La sentenza del Tribunale Civile di Teramo del 14 marzo 1905, che giudicò la causa tra Elisabetta Rozzi e suo fratello Norberto, prendeva le mosse da una considerazione: la capacità di fare testamento viene data per regola generale, mentre l’incapacità deve essere dimostrata, e rigorosamente, da chi la sostiene. Quindi, nel caso specifico, toccava a Filomena Rozzi, provare che il fratello Nicola, di cui aveva impugnato il testamento a favore dell’altro fratello Norberto, non si trovasse il 9 giugno del 1885 in piena libertà di volere e in piena sanità di mente. Ebbene, sia la prova testimoniale che quella documentale avevano dimostrato che Nicola Rozzi era sano di mente. E la perizia di tre illustri e celebri cattedratici che avevano sostenuto il contrario? Essa non aveva, sosteneva la sentenza, la forza di distruggere un postulato giuridico, secondo il quale si può fare validamente testamento quando il disordine della funzionalità mentale non sia così grave da offuscare la ragione e il libero arbitrio. I giudici respinsero l’ipotesi avanzata da Filomena Rozzi che suo fratello Norberto dopo aver ottenuto il testamento a proprio favore, si fosse affrettato ad ottenere i certificati medici di Nicola. Lo aveva fatto un mese dopo il ricovero in manicomio. C’era, in tutta la vicenda della contesa eredità di Nicola Rozzi, una specie di angusta finestra in cui confinare la malattia mentale. Dal punto di vista dell’interesse di Norberto, e cioè per la validità del testamento a suo favore, occorreva che l’inizio della malattia mentale del fratello Nicola non fosse fissato in una data precedente a quella del testamento, il 9 giugno 1885, per non inficiarne la validità, ma che non fosse fissato in una data posteriore all’ottobre di quello stesso anno, quando la malattia era stata giudicata conclamata, tanto da rendere necessario il ricovero in manicomio. Al tempo stesso occorreva sostenere che il progresso della malattia era stato velocissimo, tanto da conseguirne la morte dopo pochissimo tempo, nel dicembre del 1885. Questa ipotesi veniva pienamente contraddetta dall’esito della perizia psichiatrica firmata da autorevolissimi e celebrati luminari della scienza, quali Cesare Lombroso, Gaspare Virgilio e Augusto Tamburrini, secondo i quali la malattia mentale di Nicola Rozzi non aveva potuto avere un decorso così accelerato, o "galoppante", come si diceva, ma era iniziata ben prima del giugno 1885, quando era stato redatto il testamento. Nel sostenere la tesi opposta, i giudici del Tribunale Civile di Teramo affermarono che il medico curante di Nicola Rozzi, dott. Nicola Marziale, nel frattempo deceduto, era divenuto certo dei progressi del male cerebrale solo nel settembre del 1885. Quanto ai medici dott. Pancrazio Caravelli e dott. Carlo D’Intino, i loro certificati attestanti la malattia mentale portavano la data del 23 novembre. Un teste, il notaio Lorenzo Nucci, aveva deposto che il dott. Marziale si era accorto dei segni di squilibrio mentale di Nicola Rozzi dopo il ritorno di questi a Campli dalla villeggiatura, cioè nel mese di settembre, e lo aveva pregato di avvertire il fratello Norberto, perché la malattia era seria e progrediva velocemente. Il dott. Marziale aveva anche chiesto al notaio Nucci: "Sapete se Nicola ha fatto testamento?" Ma il notaio aveva risposto di non saperlo. E come mai il cognato di Norberto Rozzi, Ottavio Flaiani, aveva dichiarato che il testamento poteva essere stato redatto in una data diversa da quella che si leggeva sul documento ? E come mai c’era stato chi aveva affacciato sospetti di "captazione" del testamento, cioè di una serie di atti finalizzati, mediante male arti e frode, a carpire la decisione del testatore, approfittando della sua debolezza fisica e psichica ? Il Flaiani, rispondevano i giudici, non era credibile, perché interessato. Quanto alla "captazione" del testamento, chi se ne rende responsabile si avvale del suo predominio sul testatore per sviare l’affetto dei parenti, per allontanare da lui le persone che possono dargli forza e consiglio e per creare ostacoli alla comunicazione. Bene, nulla di tutto questo era stato provato nei confronti di Norberto Rozzi, nonostante sua sorella Filomena avesse tentato di farlo. Secondo i giudici del Tribunale, il quesito centrale era il seguente: quando Nicola Rozzi aveva vergato il testamento, aveva già dato segni di squilibrio mentale ? Filomena aveva tentato di provare con testimoni che quei segni fossero iniziati un anno e mezzo prima del ricovero in manicomio. Ma questa prova era stata raggiunta? La risposta dei giudici era negativa. I segni di squilibrio mentale erano iniziati, stando a quanto dichiarato dai testi più credibili, solo dopo che Nicola Rozzi si era recato in villeggiatura a Sant’Egidio, e cioè sul finire del luglio 1885, più di un mese dopo aver redatto il testamento. E quando poi era tornato a Campli dalla villeggiatura, i segni di squilibrio erano stati ancora più conclamati, tanto da indurre il fratello Norberto a ricoverarlo nel manicomio di Pesaro. Ma in che cosa erano consistite le sue "stranezze"? Le deposizioni dei testi ne avevano fornito un campionario non sempre univoco e concorde, sia nelle modalità che nei tempi. Si era parlato, tuttavia, di un Nicola Rozzi che, all’improvviso, sembrava aver mutato carattere. Da uomo timido che era, era diventato sfacciato e lascivo; aveva sempre amato suo fratello Carmine e all’improvviso aveva preso ad odiarlo, tanto che quello doveva nascondersi per non suscitare le sue ire bestiali. Un giorno era entrato in un negozio di Campli, pretendendo di acquistare dei tavolini e della stoffa ad ogni costo, sfidando i negozianti che erano stati avvertiti dal fratello Norberto di non approfittarsi di chi aveva preso a voler acquistare tutto. Un altro giorno si era trovato alla stazione di Castellammare Adriatico e aveva cominciato a pretendere di far caricare un macigno, che voleva riportarsi a casa nel vagone riservato ai viaggiatori di prima classe e lo si era convinto a stento a farlo caricare nel vagone merci. Aveva poi iniziato ad andare in giro per casa parlando da solo e facendo gesti con le braccia, ad uscire di casa con il berretto invece che con il cappello e a pretendere di entrare in chiesa con il cappello in testa e il sigaro in bocca. Un altro giorno aveva appiccato il fuoco ad alcuni oggetti che stavano nel palazzo Rozzi, tanto che erano dovuti accorrere i carabinieri. Un altro giorno ancora aveva preteso dal suo cocchiere, Barlecchini, che lo accompagnasse ad Ascoli Piceno, dove si era messo a fare spese ingenti. Il fratello Norberto aveva avvertito i negozianti di non vendergli nulla, ma quelli invece se ne approfittavano, vendendogli a prezzi esagerati tutto quello che voleva. Aveva poi iniziato ad andarsene in giro con delle pietre in tasca, che raccoglieva, dicendo di ravvisare in questa la figura di un animale, in quest’altra una figura di donna. Prima era correttissimo e religioso, ora invece applaudiva freneticamente dal balcone di casa sua la banda musicale che passava. Era stato poi preso, all’improvviso, dalla smania di viaggiare e voleva sempre essere accompagnato dal cocchiere ora ad Ascoli ora a San Benedetto, anche di nascosto dalla sua famiglia. A Castellammare Adriatico si era impegnato un anello. Poi aveva cominciato a fare discorsi strani, era diventato beone, licenzioso con le donne che incontrava per strada, parlava di donne sporcamente e aveva preso a dire che…. voleva prendere moglie! Aveva preso a dire che voleva mettere su una filanda e diventare milionario. Passando per strada davanti alla venditrice di castagne, non aveva ritegno a prenderne qualche pugno senza pagare. In casa non c’era verso di tenerlo a posto e rompeva tutto ciò che gli capitava tra le mani. Lo si vedeva sui balconi di Palazzo Rozzi a spandere i tappeti e camminare su e giù, uscire e rientrare di casa in continuazione. Di alcuni di questi segni di squilibrio mentale, la sentenza del Tribunale sminuì l’importanza, dicendo per esempio che l’uscita fuori di casa con il berretto anziché con il cappello poteva essere attribuita a distrazione piuttosto che a demenza o follia. Degli altri, sostenne che era stato provato che si fossero tutti verificati dopo il suo primo ritorno a Campli dalla villeggiatura a Sant’Egidio, in occasione della manifestazione religiosa che si celebrava la quarta domenica di settembre, e quindi ben dopo il 9 giugno, quando aveva redatto il testamento a favore del fratello Norberto, che pertanto doveva ritenersi valido a tutti gli effetti, nonostante il diverso parere dei periti psichiatri, sia pure tanto celebrati. Questi avevano valutato e giudicato esorbitando dal mandato loro conferito e non riconoscendo che la malattia mentale di Nicola Rozzi aveva avuto un decorso rapido e tumultuoso, che ne aveva determinato la morte in pochissimo tempo. Nel ricostruire il decorso della malattia, essi avevano attribuito il periodo iniziale ad un’epoca ben diversa da quella attestata dagli atti. Nel contestare, anche sul piano scientifico, le argomentazioni di Lombroso, Virgilio e Tamburini, i giudici aggiungevano che i periti psichiatri non erano stati nemmeno fortunati. Infatti avevano preteso di ricavare la certezza della consolidata malattia mentale di Nicola Rozzi, il cui inizio retrodatavano in maniera inaccettabile, anche sulla base di alcune rilevanze riscontrate su una nota autografa del Rozzi, esistente in uno dei registri contabili di casa Rozzi. Ma, guarda caso, era stato accertato che quella nota non era autografa del Rozzi, ma vergata da un’altra persona, certo Davide Di Carlo. La sentenza si concluse con il rigetto di tutte le richieste di Filomena Rozzi. Il testamento del defunto fratello Nicola in favore dell’altro fratello Norberto era valido e legittimo, vergato quando nel testatore non si erano ancora manifestati i segni della malattia mentale, che erano invece apparsi un paio di mesi dopo, conducendolo prima al ricovero in manicomio e poi alla morte. Che al momento del suo ricovero in ospedale Nicola Rozzi fosse mentalmente malato, lo aveva dichiarato anche il dott. Michetti, al quale era parso incosciente, stupido, incapace di articolare parole, completamente e assolutamente demente. Era risultato anche che, al momento di partire per il manicomio di Pesaro, il suo contegno apparisse quello di un uomo esaltato, ma non incretinito. Accompagnato dal fratello Norberto e da altri parenti, si era messo a dormire, poi si era svegliato presto e si era meravigliato che i suoi parenti dormissero ancora. Internato nel manicomio, si era posto a disegnare, riproducendo le figure di un teatrino. Poi, più tardi, avendo trovato una mensa apparecchiata, si era seduto e si era messo a mangiare. Ma quando aveva cominciato star male? Una risposta l’aveva data, con la sua deposizione, un suo amico, monsignor Edoardo Cornacchia. Questi aveva raccontato: - Nella stagione balneare del 1885, tra la fine di agosto e i primi di settembre, avendo saputo che Nicola Rozzi era venuto a San Benedetto, volli vederlo. Andai a trovarlo nell’albergo dove stava e discorsi lungamente con lui. Non mi accorsi di nulla di anormale nelle sue condizioni mentali. Ricordo che, avendogli detto di dover partire da San Benedetto e che sarei stato assente per qualche giorno, manifestò il desiderio di accompagnarmi alla stazione. In effetti, il giorno successivo venne ad accompagnarmi. Lungo la strada che conduce alla stazione parlammo di molte cose e mi parve assennato e serio, come sempre. Monsignor Cornacchia aveva proeguito dicendo che Nicola Rozzi gli aveva riferito che la notte precedente aveva avvertito un peso alla testa, che era andato sempre più aumentando. - Per tranquillizzarlo - proseguì - gli dissi che doveva essere stato il gran caldo che faceva e, scambiatici gli ultimi saluti, parti. Restai assente da San Benedetto otto o nove giorni. Al ritorno, andai in albergo a trovarlo. Appena entrato, l’albergatrice mi disse: "Oh! Che disgrazia! Rozzi ha dato segni di alienazione mentale!". La notizia mi meravigliò molto e mi addolorò. Chiesi se fosse stata avvertita la famiglia e mi dissero di no, perché avevano voluto aspettare il mio ritorno. Salito nella camera da letto di Rozzi, lo trovai seduto con la testa appoggiata ad una mano. Il suo aspetto non era cattivo. Gli chiesi come stesse. Stringendosi nelle spalle, si limitò ad indicarmi alcuni gingilli che aveva comprato durante la mia assenza e che l’albergatrice mi disse fossero stati comprati a prezzo esagerato. Indicandomi quei gingilli, mi disse che uno era per la mora, uno per la bionda e uno per me. Convinto che il mio amico non avesse più il cervello a posto, sentii il dovere di avvertire il fratello Norberto. Gli scrissi una lettera a Campli e lui venne a San Benedetto a riprendersi il fratello. Tutti e due ripartirono per Campli. Norberto nel vedere il fratello, restò stupido e, rivolto a me, disse: "La tua lettera mi aveva già arrecato grandissimo dolore, ma, adesso che vedo mio fratello, sono addirittura avvilito". L’intera eredità di Nicola Rozzi rimase attribuita, per decisione del Tribunale Civile di Teramo, a Norberto Rozzi. Sua sorella Filomena rimase sconfitta su tutta la linea e fu condannata anche a pagare le spese processuali. Quanto agli altri che sarebbero rientrati in possesso di qualche diritto ereditario se il testamento fosse stato annullato, compresi i Savini, mostrarono tutti, nelle fasi finali della vicenda giudiziaria, distacco e indifferenza, non presentandosi nemmeno all’udienza conclusiva. |